Ai fini ICI l’area è considerata edificabile a partire dal momento in cui i lavori di costruzione, demolizione e ricostruzione sono stati avviati, indipendentemente da quando è stato rilasciato il relativo permesso di costruire.
Questo il principio espresso nell’ordinanza della Corte di Cassazione (V sez. civ.) n. 27087/2017, che si è pronunciata sulla questione relativa al pagamento dell’ICI dovuta su un’area oggetto di edificazione.
La questione prende le mosse da un avviso di accertamento con cui il Comune procedeva al recupero dell’ICI dovuta su un’area agricola, secondo le previsioni del P.R.G., per la quale era stato rilasciato il permesso di costruire case rurali nel dicembre 2001, ma i lavori edificatori erano stati avviati solo diversi anni dopo (ottobre 2007).
In particolare, il Comune fondava la pretesa tributaria sulla base del principio secondo cui “per area fabbricabile si intende l’area utilizzabile a scopo edificatorio in base agli strumenti urbanistici generali o attuativi” ai sensi dell’art. 2, co. 1, lettera b, del Dlgs 504/1992.
A tal riguardo, il Comune richiedeva il pagamento dell’ICI sull’area, considerata edificabile, a partire dal momento in cui i permessi di costruire erano stati rilasciati. Diversamente, il contribuente riteneva di dover pagare solo a partire dal 2007, ovvero dal momento in cui i lavori erano stati effettivamente avviati.
La questione è stata risolta dalla Corte di Cassazione, in senso contrario alle sentenze di primo e secondo grado, a favore dell’impresa ricorrente, sulla base del principio secondo cui “è durante il periodo di effettiva utilizzazione edificatoria(per costruzione, per demolizione e ricostruzione, per esecuzione di lavori di recupero edilizio), che il suolo interessato deve essere considerato area fabbricabile, e ciò indipendentemente dal fatto che sia tale o meno in base ai vigenti strumenti urbanistici”.
In sostanza, con un orientamento favorevole e del tutto condivisibile, la Corte di Cassazione ha stabilito che, ai fini ICI, per individuare correttamente il valore imponibile dell’area in ragione della qualificazione come agricola o edificabile, occorre fare riferimento all’effettivo utilizzo da parte del contribuente, indipendentemente dalla definizione urbanistica.
Sul punto si ritiene che, anche se l’ordinanza è stata dettata in materia di ICI, alle medesime conclusioni dovrebbe pervenirsi in tema di IMU. Quest’ultima, infatti, entrata in vigore a partire dal 2011[1] in luogo dall’ICI è dovuta sulle aree qualificate edificabili dal P.R.G., incluse quelle costituenti il cd. “magazzino” delle imprese edili[2].
Tale disciplina configura, pertanto, una difformità rispetto all’esclusione dal prelievo IMU riconosciuta ai fabbricati costruiti o ristrutturati per la successiva vendita purché non locati, facenti parte anch’essi del “magazzino” delle imprese edili.
A tal riguardo, da tempo, l’ANCE propone l’esenzione dall’IMU anche per le aree fabbricabili comprese tra le rimanenze dell’attivo circolante delle imprese di costruzioni, evidenziando le complicazioni di una disciplina fiscale impositiva complessa e diversificata sui “beni merce” delle imprese edili e sostenendo la necessità di semplificare il macchinoso quadro normativo che, soprattutto nel corso degli ultimi anni, ha determinato una forte incertezza applicativa e maggiori costi fiscali per gli investimenti immobiliari.
[2] Si ricorda che questa posizione deriva dalla definizione stessa, ai fini di tutti i tributi, di area edificabile ai sensi dell’art. 36, co. 2, del DL 223/2006 (convertito con modificazioni dalla legge 248/2006) secondo cui “un’area è da considerare fabbricabile se utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottato dal comune, indipendentemente dall’approvazione della regione e dall’adozione di strumenti attuativi del medesimo”.
1 allegato