La Corte di Giustizia, con la sentenza del 6 ottobre 2016, ha stabilito la conformità al diritto U.E. di una normativa nazionale che imponga il versamento di un contributo unificato, più elevato che in altre materie, all’atto di proposizione di un ricorso in materia di appalti pubblici dinanzi ai giudici amministrativi.
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Secondo la Corte, in particolare, gli Stati membri sono unicamente tenuti, ai sensi della direttiva 89/665/CE, ad adottare i provvedimenti necessari per garantire ricorsi efficaci e rapidi contro le decisioni delle autorità aggiudicatrici contrarie al diritto dell’Unione; non sussiste, quindi, alcuna disposizione attinente nello specifico ai tributi giudiziari da versare per proporre un ricorso amministrativo in materia di appalti pubblici.
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Pertanto, in assenza di una disciplina specifica dell’Unione in materia, spetta a ciascuno Stato, in forza del principio di autonomia processuale negli Stati Membri, stabilire le specifiche modalità della procedura amministrativa e giurisdizionale.
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Tali modalità, tuttavia, non devono essere meno favorevoli rispetto a quelle che riguardano ricorsi analoghi previsti per la tutela dei diritti derivanti dall’ordinamento interno (in ossequio al principio di equivalenza), né devono rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione (per rispetto del principio di effettività).
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Venendo quindi alle modalità di fissazione del contributo unificato praticate in Italia, le stesse non si porrebbero in contrasto con tali principi.
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In primo luogo, secondo la Corte, la fissazione di un contributo unificato per i ricorsi in materia di appalti più elevato che in altre materie non violerebbe il principio di equivalenza.
Tale principio implica, infatti, una parità di trattamento tra i ricorsi fondati su una violazione del diritto nazionale e quelli simili, fondati su una violazione del diritto dell’Unione, non richiedendo, quindi, la necessaria equivalenza delle norme nazionali applicabili ai contenziosi di diversa natura.
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Quanto invece al rispetto del principio di effettività, le regole che stabiliscono l’ammontare, molto elevato, dei contributi unificati non sono tali, a giudizio della Corte, da rendere eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione in materia di appalti pubblici.
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In particolare, secondo tali regole, l’ammontare del contributo unificato viene fissato in funzione del valore dell’appalto oggetto del procedimento principale; in tal modo non sembrerebbe riscontrabile una discriminazione tra gli operatori che esercitano nel medesimo settore di attività, atteso che, in ogni caso, le norme UE in materia di appalti pubblici richiedono, per la partecipazione alle gare, il possesso di una capacità finanziaria parametrata all’importo dell’appalto.
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Infine, la Corte si sofferma anche sulla necessità di versare il contributo unificato non solo all’atto del deposito del ricorso introduttivo del giudizio, ma anche per i ricorsi incidentali e i motivi aggiunti che introducono domande nuove nel corso del giudizio.
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In tali casi, tuttavia, in caso di contestazione sollevata da una parte interessata, il giudice sarà tenuto a dispensarla dall’obbligo di pagamento di tributi giudiziari cumulativi, laddove accerti che gli oggetti delle controversie non sono effettivamente distinti e non costituiscono un ampliamento considerevole dell’oggetto della controversia già pendente.
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1 allegato
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