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Corte Costituzionale: la tracciabilità dei flussi finanziari è competenza statale

La Corte Costituzionale dichiara l'illegittimità costituzionale di alcune disposizioni della Regione Sicilia in materia di appalti pubblici, in quanto rientrano nella materia ordine pubblico e sicurezza di competenza esclusiva del legislatore statale. Si rimanda alla lettura della cicolare n.43, pubblicata nell'area riservata nella sezione circolari.

Oneri sicurezza: per il Consiglio di Stato l’indicazione è sempre obbligatoria

Una recente sentenza dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, contraddicendo i chiarimenti forniti dall'Anac in materia, sostiene che l'indicazione preventiva degli oneri aziendali per la sicurezza nei lavori pubblici è di fatto sempre obbligatoria, a pena di esclusione, anche se non prevista esplicitamente dal bando. In contrasto con la sentenza dell'Adunanza Plenaria del CdS si pongono tuttavia, , sia le tesi dell'Autorità anticorruzione che una sentenza del Consiglio di giustizia amministrativa della Regione Sicilia, Si rimanda alla lettura della circolare n.42-2015, pubblicata nell'area riservata, sezione circolari.

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Costi delle centrali di committenza- la posizione dell’ANAC

Con l'Atto di segnalazione n. 3, del 25 febbraio 2015, (già segnalato con news n. 19662 del 10 marzo 2015) l'Anac interviene sul delicato tema delle spese di gestione delle procedure di gara, poste a carico dell'aggiudicatario da alcune centrali di committenza per l'utilizzo di piattaforme elettroniche o per la stipula di convenzioni.

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La segnalazione fa seguito ad una consultazione, indetta dalla stessa Anac nel mese di aprile 2014 su un problema da tempo sollevato anche dall'ANCE, e molto sentito sul territorio; si tratta, in particolare, della prassi di alcune centrali di committenza di inserire nei bandi di gara, in assenza di una espressa copertura normativa, clausole che prevedono a carico dell'aggiudicatario il pagamento di un corrispettivo, fissato in percentuale rispetto al valore del prezzo di aggiudicazione, pena la revoca di quest'ultima, e che impongono al concorrente di allegare espressa dichiarazione con la quale si obbliga ad effettuare il suddetto pagamento in caso di aggiudicazione, a pena di esclusione.

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A tale riguardo, nell'atto in commento, l'Autorità conferma la tesi dell'Ance circa l'illegittimità dell'inserimento di tali clausole, in assenza di una espressa copertura normativa.

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Ciò, in virtù dell'articolo 23 della Costituzione, stabilisce che ‹‹nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge››.

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Tale previsione rende, infatti, evidente che i meccanismi di remunerazione previsti dalle centrali di committenza devono avere sempre espressa copertura normativa.

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A sostegno di tale assunto ed a titolo esemplificativo, l'atto in commento richiama le disposizioni del DL n. 98/2011 (convertito con modificazioni in legge 15 luglio 2011, n. 111) che, infatti, prevedono espressamente meccanismi di rimborso dei costi, quali:
l'art. 11, comma 3, che contempla la possibilità di prevedere forme di remunerazione sugli acquisti, anche a carico dell'aggiudicatario, per l'uso del sistema informatico di negoziazione del Ministero dell'economica e delle finanze in ASP (Application Service Provider);
l'art. 11, comma 10, che ammette la possibilità di prevedere meccanismi di remunerazione sugli acquisti da porre a carico degli aggiudicatari delle procedure di gara svolte da Consip S.p.A. per conto del Ministero della giustizia;
l'art. 11, comma 11, che ha modificato il comma 453 dell'art. 1, legge 27 dicembre 2006, n. 296, che, a sua volta, introduce la possibilità di prevedere meccanismi di remunerazione sugli acquisti da porre a carico dell'aggiudicatario delle convenzioni di cui all'art. 26, comma 1, legge 23 dicembre 1999, n. 488, dell'aggiudicatario di gare su delega bandite da Consip S.p.A. e dell'aggiudicatario degli appalti banditi su accordi quadro conclusi da Consip S.p.A.
La specificità di tali previsioni conferma, per l'ANAC, l'impossibilità di procedere ad una loro applicazione estensiva ad altri ambiti di operatività.

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Nell'atto di segnalazione viene altresì sottolineato che l'importo del corrispettivo posto a carico dell'aggiudicatario (da commisurare al prezzo di aggiudicazione dell'appalto) non consente di attribuire allo stesso la natura di rimborso delle spese sostenute dalla stazione appaltante.

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Infatti, queste ultime sono, di regola, fisse, mentre la somma che alcune centrali di committenza pone a carico dell'aggiudicatario dipende, come detto, dall'importo di aggiudicazione dei lavori.
Da ciò, deriva l'assenza di un rapporto di corrispettività, che, per l'ANAC, rende evidente la necessità di una copertura normativa.

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Viene, poi, rilevato che le recenti modifiche normative in materia di centralizzazione degli acquisiti vanno nel senso della riduzione dei costi a carico degli operatori economici. Tale obiettivo risulterebbe vanificato ove si desse piena legittimità alle clausole in commento. In particolare, ad avviso dell'ANAC, il ricorso alle centrali di acquisto non deve determinare un aggravio di costi per gli operatori, i quali, peraltro, tenderebbero a traslarli sull'ente appaltante, e per esso, sulla collettività, offrendo minori ribassi in gara, al fine di compensare il probabile costo posto a loro carico, laddove dovessero risultare aggiudicatari.

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Da ultimo, l'ANAC muove un rilievo circa la contrarietà delle clausole in commento rispetto all'articolo 46, comma 1-bis, del Codice.

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È evidente, infatti, che l'inserimento di una clausola che contenga la richiesta a carico del futuro aggiudicatario di accettare espressamente il pagamento di tali somme, pena l'esclusione dalla gara, o anche la revoca dell'aggiudicazione, in caso di mancato pagamento, sono contrarie alle disposizioni in tema di tassatività delle clausole di esclusione.

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Tutte le considerazioni illustrate portano, quindi, l'ANAC a chiedere un intervento normativo volto a superare la controversia interpretativa sorta sul tema, nonché a sancire espressamente il divieto, salvo diversa previsione di legge, di porre le spese di gestione della procedura a carico dell'aggiudicatario della procedura di gara.

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Tali considerazioni confermano quanto sostenuto dall'Ance e ribadito in numerose occasioni, consentendo, quindi, di destituire di qualsivoglia fondamento giuridico la prassi, molto diffusa sul territorio, volta ad inserire clausole di gara del tenore sopra evidenziato.

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Quanto alla richiesta dell'ANAC circa l'introduzione di un divieto espresso da parte del legislatore, si ritiene che l'eventuale disposizione in tal senso debba comunque intendersi come di mero chiarimento, rispetto ai principi che la stessa ANAC ha individuato a sostegno dell'illegittimità delle clausole in esame. Illegittimità, che, quindi, possono essere contestate sin d'ora.

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ANAC: sotto dieci offerte, no all’esclusione automatica

L'Autorità chiarisce illegittimità dell'utilizzo del meccanismo dell'esclusione automatica delle offerte anomale nella procedura negoziata, qualora, seppur previsto dal bando, il numero delle offerte ammesse sia inferiore a dieci (ex art. 122, comma 7 e ex art. 57, comma 6 del Codice dei contratti d.lgs. 163/2006).

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La questione oggetto di controversia è stata affrontata nel Parere n.18 del 25/2/2015 dell'A.N.AC, in cui si ricorda che, in linea con l'orientamento già espresso nel parere di precontenzioso n. 185 del 7.11.2012 e nel parere n. 94 del 5.6.2013, il meccanismo di semplificazione dell'esclusione automatica delle offerte anomale non è esercitabile quando il numero delle offerte ammesse sia in numero inferiore a dieci.

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In tal caso, infatti, si applica quella disposizione del Codice che consente alle le stazioni appaltanti di valutare la congruità di ogni altra offerta che, in base ad elementi specifici, appaia anormalmente bassa (articolo 86, comma 3).

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Infatti, come specificato dal Codice dei contratti (art. 122, comma 9, d.lgs. 163/2006), qualora i lavori ad oggetto della gara di appalto siano d'importo inferiore o pari a 1 milione di euro, e sia adottato il criterio di aggiudicazione del prezzo più basso, la stazione appaltante può legittimamente prevedere nel bando l'esclusione automatica delle offerte che presentano una percentuale di ribasso pari o superiore alla soglia di anomalia individuata ai sensi dell'articolo 86, ossia applicando il metodo che parte dal taglio delle ali.

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Tuttavia, anche nel caso la stazione appaltante abbia scelto il suddetto meccanismo di semplificazione, il carattere imperativo dell'art. 121, commi 8 e 9, D.P.R. 207/2010 - che limita l'applicabilità del citato art. 122 - determina un fenomeno di eterointegrazione della lex specialis di gara, trovando applicazione, anche in contrasto con la disciplina stessa di gara.

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La posizione dell'Autorità è in linea con quella del Consiglio di Stato, il quale ha affermato che l'eterointegrazione del bando di gara è configurabile in presenza di norme imperative recanti una rigida predeterminazione dell'elemento destinato a sostituirsi alla clausola difforme (Sezione III, sentenza del 18 ottobre 2013, n. 5069) e si giustifica in quanto occorra conformare il contenuto delle obbligazioni e di diritti nascenti da contratti già conclusi con esigenze di ordine imperativo non disponibili dai contraenti (Sezione V, 17 marzo 2015, sentenza n. 1375).

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Pertanto, prosegue l'Autorità, qualora il numero delle offerte ammesse sia inferiore a dieci e di conseguenza, ai sensi del citato art. 121, non sia possibile procedere all'esclusione automatica delle offerte (pur se prevista nel bando), e alla determinazione della soglia di anomalia, il responsabile del procedimento, successivamente alla chiusura della seduta pubblica della gara, provvede all'eventuale verifica "facoltativa" di congruità di cui all'art. 86, comma 3, del Codice.

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La verifica è effettuata mediante richiesta delle giustificazioni, assegnando al concorrente un termine non inferiore a quindici giorni per la loro presentazione ed eventualmente richiedendo all'offerente le precisazioni ritenute pertinenti, da presentarsi entro un termine non inferiore a cinque giorni (rispettivamente artt. 87, comma 2, e 88, del Codice).

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Accertata la congruità delle offerte sottoposte a verifica (ovvero non eseguita la verifica di cui all'articolo 86, comma 3, del Codice), il soggetto che presiede la gara, in seduta pubblica, aggiudica provvisoriamente la gara al concorrente che ha offerto il prezzo più basso.

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Tanto precisato, l'Autorità ritiene che, in tali casi, la scelta della stazione appaltante deve essere intesa nel senso di esercitare o meno la facoltà di verifica prevista all'art. 86, comma 3, del Codice oppure di procedere all'aggiudicazione provvisoria dell'appalto all'impresa, che abbia presentato l'offerta economica con il massimo ribasso. Non è, invece, possibile per la stessa stazione appaltante applicare, il meccanismo dell'esclusione automatica delle offerte anomale, in mancanza di un numero sufficiente di concorrenti.

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Ne consegue che è illegittima l'esclusione dalla procedura per "assoluta inaffidabilità" del concorrente, che prescinda da una concreta e puntale valutazione della congruità dell'offerta, apparsa anormalmente bassa.

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Di contro, si ricorda che l'inserimento della previsione nel bando del meccanismo di semplificazione dell'esclusione automatica è, qualora possibile, sempre facoltativo, in quanto la Corte di Giustizia Europea ha chiarito che, qualora il numero delle offerte sia superiore a cinque, le norme del Trattato e il principio di non discriminazione, ostano a una normativa nazionale che per gli appalti sottosoglia imponga alle amministrazioni di procedere all'esclusione automatica delle offerte precludendo la loro verifica (sez. IV, 15 maggio 2008, n. C-147/06 e 148/06).

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ParerePrec.n.18.2015

Accesso agli atti: l’interesse deve essere valutato in astratto

La pubblica amministrazione, nella domanda d'accesso agli atti, è tenuta soltanto a valutare l'inerenza del documento richiesto con l'interesse palesato dall'impresa, e non anche l'utilità dello stesso documento, al fine del soddisfacimento della pretesa correlata.

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E', quanto, emerge dalla sentenza n. 166 del 20 gennaio 2015, emessa dalla sezione V del Consiglio di Stato, in cui ai fini della richiesta di accesso di un soggetto escluso da una gara si è affrontato il rapporto tra disciplina normativa generale e quella particolare dettata in materia di contratti pubblici.

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Secondo la giurisprudenza prevalente, tale rapporto non va posto in termini di accentuata differenziazione, ma piuttosto di complementarietà, talchè le disposizioni e i principi (di carattere generale e speciale) contenute nella disciplina della legge n. 241 del 1990 devono trovare applicazione tutte le volte in cui non si rinvengono disposizioni derogatorie nel Codice dei contratti.

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Alla base di tale rapporto di specialità - vi è una consolidata giurisprudenza secondo la quale la disciplina dettata dall'art. 13 Codice dei contratti pubblici, essendo destinata a regolare in modo completo tutti gli aspetti relativi alla conoscibilità degli atti e dei documenti rilevanti nelle diverse fasi di formazione ed esecuzione dei contratti medesimi, costituisce una sorta di microsistema normativo, collegato all'idea della peculiarità del settore considerato, pur all'interno delle coordinate generali dell'accesso tracciate dalla L. n. 241 del 1990 (cfr. ex multis Consiglio di Stato, Sez. III, sent. n. 1603/2014).

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Infatti, nel codice dei contratti l'accesso è strettamente collegato alla sola esigenza di una difesa in giudizio della posizione giuridica lesa durante la procedura di gara, con una previsione, quindi, molto più restrittiva di quella contenuta nell'art. 24, l. n. 241 cit., che, invece, contempla un ventaglio più ampio di possibilità, consentendo l'accesso ove necessario per la tutela della posizione giuridica del richiedente, senza alcuna restrizione alla sola dimensione processuale.

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In particolare, è stata, ad es., ritenuta non fondata la richiesta di accedere alla documentazione tecnica di tutte le altre concorrenti, avanzata dalla società esclusa dalla gara, una volta che tale esclusione non risultava più impugnabile (Consiglio di Stato , Sez. V, sent. n. 1446/2014).

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Tuttavia, anche qualora venga applicato il citato art. 13 del Codice, una volta accertato che l'accesso è sorretto da un interesse difensivo del concorrente o, comunque, dell'impresa, concretamente ed effettivamente suscettibile di tutela giuridica nei limiti suddetti, la pubblica amministrazione, non è tenuta a valutare l'utilità del documento, al fine del soddisfacimento della pretesa correlata.

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Infatti, in applicazione dei principi generale del soccorso istruttorio (art. 24, comma 7, primo periodo, della legge n. 241 del 1990), il soggetto pubblico non può andare oltre una valutazione circa il collegamento dell'atto con la situazione soggettiva da tutelare e l'esistenza di una concreta necessità di tutela, "senza poter apprezzare nel merito la fondatezza della pretesa o le strategie difensive dell'interessato" (Consiglio di Stato, Sez. V sentenza del 23 marzo 2014, n. 1545 cit.).

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Ciò al fine di tutelare l'esigenza, di rilievo costituzionale, di assicurare la "parità delle armi" nel processo che vale a rendere ancora più solida la pretesa dell'impresa appellata.

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A fronte dell'importanza di questa tutela, il Consiglio di Stato non ritiene abbia rilevo l'eventuale forma privatistica dell'ente pubblico, cui si chiede l'accesso, che non è di ostacolo al riconoscimento della legittimazione passiva in capo a quest'ultimo (cfr. anche Cons. St., Ad Plen.. n. 5/2005).

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Pertanto, conclude il Collegio, l'interesse all'accesso ai documenti deve essere valutato in astratto, senza che possa essere operato, con riferimento al caso specifico, alcun apprezzamento in ordine alla fondatezza o ammissibilità della domanda giudiziale che gli interessati potrebbero eventualmente proporre sulla base dei documenti acquisiti mediante l'accesso e , quindi, la legittimazione all'accesso non può essere valutata alla stessa stregua di una legittimazione alla pretesa sostanziale sottostante (cfr. anche Consiglio di Stato, sez. V, 10 gennaio 2007, n. 55).

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1 allegato

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Sentenza Cds 166 2015

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