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Subappalto: il subappaltatore può rinunciare al pagamento diretto

L’ANAC, al fine di favorire la corretta ed omogenea applicazione delle disposizioni che regolano il subappaltato, ha chiarito la derogabilità contrattuale dell’obbligo di pagamento diretto da parte delle stazioni appaltanti alle micro o piccole imprese.

È quanto emerge dal Comunicato del Presidente, 25 dicembre 2020, con cui l’ANAC approfondisce l’art. 105, c. 13, lettera a) del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, Codice dei contratti pubblici, che prevede l’obbligo, a carico delle stazioni appaltanti, di provvedere al pagamento diretto nei confronti del subappaltatore, cottimista, fornitore o prestatore di servizi che rivesta la qualifica di micro o piccola impresa.

Tale disposizione, osserva L’ANAC, se da un lato sottrae le micro e piccole imprese dal rischio di insolvenza dell’appaltatore, dall’altro le espone ai ritardi della stazione appaltante nell’emissione dei SAL e nell’esecuzione dei pagamenti, compromettendo, di fatto, l’efficacia del meccanismo di tutela approntato dal legislatore.

Coerentemente, deve ritenersi che se alle stazioni appaltanti, soggette ad obbligo di natura vincolante, è preclusa la possibilità di determinarsi in senso contrario, di contro, alle piccole e medie imprese, titolari di un diritto potestativo, è permesso rinunciare liberamente al beneficio, in quanto previsto nel loro esclusivo interesse (fatto salvo il ripristino del pagamento diretto a cura della stazione appaltante nel caso di inadempimento dell’appaltatore).

Detta rinuncia, precisa l’ANAC, deve essere manifestata per iscritto e subordinata alla preventiva accettazione da parte della stazione appaltante oppure essere espressa nell’ambito di una specifica clausola inserita nel contratto di subappalto.

Nel contratto di subappalto o nel sub-contratto, prosegue l’ANAC, può altresì essere previsto che l’appaltatore proceda al pagamento delle spettanze dovute al subappaltatore/fornitore dietro presentazione di fattura, anche a prescindere dall’adozione del SAL da parte della stazione appaltante.

In ogni caso, la stazione appaltante procede al pagamento del corrispettivo in favore dell’appaltatore soltanto all’esito del completamento dell’iter procedurale di verifica dell’avanzamento dei lavori oggetto dell’appalto, in ottemperanza a quanto stabilito dall’articolo 113-bis, del codice dei contratti pubblici.

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Link esterni

·         Comunicato del Presidente ANAC del 25 novembre 2020

ASMEL non è una centrale di committenza: altra conferma del Consiglio di Stato

  1. Premessa

Con la sentenza n. 6975, pubblicata l’11 novembre 2020, la sezione V del Consiglio di Stato si è nuovamente pronunciata in merito alle procedure di gara centralizzate gestite da ASMEL S.c. a r.l., e ne ha confermato l’illegittimità per insussistenza dei requisiti di Centrale di committenza in capo a quest’ultima.

Nello specifico, il Supremo Consesso ha sconfessato l’impugnata sentenza di primo grado (la n. 5825/2019 del TAR Campania), che aveva dichiarato inammissibile il ricorso di un operatore economico con il quale quest’ultimo aveva chiesto l’annullamento di un bando ASMEL al quale aveva interesse a partecipare (relativo ad un affidamento di una concessione di lavori pubblici in project financing).

L’inammissibilità era stata dichiarata dai giudici campani per la carenza di legittimazione a ricorrere dell’impresa, dovuta alla mancanza dei requisiti di ammissione alla gara (in particolare, alla mancanza del “contratto di punta”,  relativo alla gestione del servizio cimiteriale nell’ultimo triennio, affine a quello oggetto dell’intervento; sul punto, l’impresa aveva lamentato l’assenza, tra le previsioni del bando, della facoltà prevista dall’art. 95, comma 2, del DPR n. 207/2010,  che avrebbe consentito di  integrare ugualmente tale requisito tramite dimostrazione di un fatturato medio annuo e capitale sociale in misura superiore a quella minima prevista).

La ricorrente, peraltro, aveva contestato, già in primo grado, anche l’illegittimità della clausola che richiede ai concorrenti di sottoscrivere un atto di impegno a versare i ben noti “oneri di committenza” in caso di aggiudicazione, nonché l’assenza della qualifica di Centrale di committenza in capo ad ASMEL Consortile.

In virtù di quest’ultimo motivo, in particolare, l’impresa aveva contestato in radice la legittimità dell’intera gara, chiedendo per l’effetto l’annullamento del bando.

Tali profili, tuttavia, non sono stati valutati nel merito dal TAR territoriale – in quanto ritenuti assorbiti dal giudizio d’inammissibilità del ricorso – e, pertanto, sono stati successivamente riproposti dinnanzi al Consiglio di Stato.

  1. La decisione del Consiglio di Stato

I Giudici di legittimità, quindi, hanno prioritariamente valutato l’effettiva ammissibilità del ricorso di primo grado, accogliendo in pieno le ragioni dell’impresa appellante: la clausola che prevedeva il necessario possesso del solo contratto di punta è da considerarsi immediatamente escludente, ed il bando di gara avrebbe dovuto prevedere la possibilità, per gli aspiranti concessionari, di qualificarsi dimostrando il possesso dei requisiti “alternativi” previsti dal citato art. 95, comma 2, del vigente Regolamento, che l’impresa aveva concretamente provato di possedere, potendo, quindi, partecipare alla gara.

Alla luce dell’ammissibilità del ricorso, quindi, il Consiglio di Stato ha proceduto ad analizzare anche la questione – prioritaria, in quanto avente carattere pregiudiziale – relativa alla sussistenza dei requisiti perché ASMEL Consortile S.c.a r.l. possa essere considerata una centrale di committenza.

E che ASMEL abbia operato, di fatto, a tale titolo risulta evidente – hanno osservato i giudici – anche dalla formulazione delle predette clausole della legge di gara che prescrivono la produzione dell’atto unilaterale d’obbligo per il versamento degli “oneri di committenza” in caso di aggiudicazione; somme, queste, che avrebbero dovuto essere versate, prima della stipula del contratto, alla “Centrale di Committenza “Asmel Consortile S. c. a r.l.”.

A tal riguardo, i massimi giudici amministrativi hanno allora negato ad ASMEL il suddetto ruolo, concordando, anche in tal caso, con le argomentazioni dell’impresa appellante. Quest’ultima, dopo aver ricordato che ad ASMEL non erano già stati riconosciuti, in un primo momento, i requisiti di cui all’art. 33, comma 3 bis, del d.lgs. n. 163/2006 nonché la qualifica di soggetto aggregatore ex art. 9 del d.l. n. 66/2014, aveva poi rilevato che, ad oggi, la stessa continuerebbe “a non possedere neppure le caratteristiche del modello organizzativo previsto dall’art. 37, comma 4, d.lgs. n. 50/2016 per la costituzione di centrali di committenza da parte dei comuni, continuando ad avere (nonostante l’intervenuta estromissione dei soci privati) una sostanziale natura privatistica, in quanto società di diritto privato costituita da altre associazioni (ASMEL Campania ed ASMEL Calabria)”.

Al contrario, per l’ordinamento italiano le centrali di committenza sono costituite da:

  • enti pubblici (province e città metropolitane), ovvero
  • forme associative di enti locali, quali “l’unione di comuni” o anche il consorzio di comuni, sorte a seguito di accordi ai sensi dell’art. 30 del d.lgs. n. 267 del 2000 (Testo Unico degli Enti Locali, cd TUEL).

Inoltre, anche ammettendo il ricorso a soggetti privati per l’esercizio delle funzioni di committenza, questi dovrebbero comunque essere organismi in house, e la loro attività dovrebbe essere limitata al territorio dei comuni fondatori.

Ciò, mentre ASMEL non potrebbe rientrare neppure in quest’ultima categoria, in quanto mancherebbero:

  • il requisito del controllo analogo, essenziale ai fini della configurazione di un soggetto in house;
  • limiti territoriali definiti per l’esercizio dell’attività di committenza, dal momento che ASMEL opera a livello nazionale.

A fondamento delle proprie conclusioni, il Consiglio di Stato ha richiamato la sentenza C 3/19 (ASMEL Soc. cons. a r.l vs. ANAC) della Corte di Giustizia UE (per approfondimenti, vedi GARE ASMEL, la CGUE: le centrali di committenza sono soltanto pubbliche), secondo la quale le norme di diritto interno che prescrivono modelli di organizzazione di centrali di committenza aventi natura esclusivamente pubblica, senza la partecipazione anche di privati, e limitano l’ambito di operatività territoriale delle centrali di committenza ai rispettivi territori degli enti locali “fondatori” sono conformi all’ordinamento comunitario.

Infine, quanto alla tematica della legittimità degli oneri di committenza a carico degli aggiudicatari, il Consiglio di Stato ha deciso di non valutarla nel merito, ritenendola assorbita dalla questione pregiudiziale della negazione del ruolo di centrale di committenza di ASMEL Consortile, che ha portato all’annullamento dell’intera procedura di gara.

La sentenza, laddove sancisce l’inidoneità di ASMEL a svolgere il ruolo di centrale di committenza, si inserisce nel solco di diverse altre pronunce sul tema, sia da parte dei Giudici amministrativi che dell’ANAC (delibere ANAC n. 32/2015 e n. 179/2020, vedi  Gare ASMEL: nuove conferme dall’ANAC); TAR Lazio – Roma, sent. n. 2339/2016; TAR Lombardia – Milano, sent. n. 240/2020, vedi Costi di gestione delle gare telematiche ASMEL: il TAR Lombardia ne conferma l'illegittimità); Consiglio di Stato, n. 6787/2020, vedi  NEWS ANCE ID N. 42271 del 5 Novembre 2020), oltre che – come riportato dallo stesso Consiglio di Stato – della menzionata sentenza C 3/19 della Corte di Giustizia comunitaria.

In conclusione, il Consiglio di Stato ha riformato la sentenza del TAR Campania, accogliendo il ricorso di primo grado ed annullando – come richiesto dall’impresa ricorrente – l’intera procedura di gara, illegittima poiché demandata alla gestione di un soggetto che non poteva rivestire la posizione di centrale di committenza.

Si allega la sentenza in commento.

1 allegato

CdS 6975_2020

Appalti pubblici: i limiti nell’avvalimento dell’attestazione SOA.

Deve considerarsi nulla, e quindi non apposta, la clausola del disciplinare di gara secondo cui l’avvalimento dell’attestazione SOA era subordinato al fatto che la stessa impresa ausiliata sia a sua volta attestata. La nullità (parziale) della clausola, che non si estende all’intero provvedimento, impone all’impresa l’obbligo impugnare nei termini ordinari l’eventuale aggiudicazione od esclusione.

Resta fermo che l’avvalimento deve andare oltre il dato formale della spendita in gara di un’attestazione altrui, considerandosi ormai essenziale la messa a disposizione dell’intero complesso di elementi e requisiti riferibili all’organizzazione dell’ausiliaria.

E’ quanto deciso, dall’Adunanza Plenaria Consiglio di Stato, interessata sulla legittimità di una clausola di gara che imponeva al concorrente ausiliato di allegare la propria attestazione SOA (sentenza del 16 ottobre 2020, n. 22).

1.      Avvalimento certificazioni di qualità e SOA

Prima ancora di affrontare nel dettaglio se e a quali condizioni è possibile l’avvalimento della SOA di altra impresa, nella sentenza viene affrontato il controverso tema dell’avvalimento della certificazione di qualità ISO:90001.

In particolare, l’Adunanza Plenaria ricorda che il Codice dei contratti pubblici, d.lgs. 50/2016, ha superato un primo indirizzo giurisprudenziale (nato in vigenza del d.lgs. 163/2000) che - nato con riferimento all’ISO:90001 - negava l’ammissibilità dell’avvalimento di qualsiasi certificazione sul presupposto del loro carattere intrinsecamente e insostituibilmente soggettivo e quasi “personalistico”.

La motivazione di tale mutamento va ricercata, sempre secondo l’Adunanza Plenaria, nel fatto che la certificazione di qualità costituisce un requisito speciale di natura tecnico-organizzativa, e come tale, è suscettibile di avvalimento (cfr.ex plurimis, Cons. St., sez. V, 30 novembre 2015, n. 5396; id. 26 maggio 2015, n. 2627)

Confermano tale possibilità  - su cui si era peraltro già espressa la Adunanza Plenaria con sentenza n. 23 del 4 novembre 2016 (sul previgente d.lgs. 163/2006) - alcune disposizioni dirette a favorire il principio della massima partecipazione alle procedure di gara ossia:

  • la legge delega per l’emanazione dell’attuale codice, in cui è previsto che «il contratto di avvalimento indichi nel dettaglio le risorse e i mezzi prestati, con particolare riguardo ai casi in cui l’oggetto di avvalimento sia costituito da certificazioni di qualità o certificati attestanti il possesso di adeguata organizzazione imprenditoriale ai fini della partecipazione alla gara» (art. 1, comma 1, lett. “zz” della legge n. 11 del 2016);
  • il Codice dei contratti, nella parte in cui prevede che l’operatore economico possa soddisfare in gara la richiesta relativa al possesso dei requisiti di carattere economico, finanziario, tecnico e professionale – con esclusione dei requisiti di cui all’art. 80 – avvalendosi delle capacità di altri soggetti, a prescindere dalla natura giuridica dei suoi legami con questi ultimi (art. 89, comma 1, del Codice).

2.      Condizioni dell’avvalimento della SOA

Per quanto riguarda la SOA, l’Adunanza Plenaria sottolinea che il Codice dei contratti (art. 84, comma 1) prevede che i soggetti esecutori a qualsiasi titolo di lavori pubblici di importo pari o superiore a 150.000 euro devono essere qualificati da società organismi di attestazione, appositamente autorizzate dall’ANAC.

Pertanto, al fine di evitare che l’avvalimento dell’attestazione SOA divenga in concreto un mezzo per eludere il sistema di qualificazione, la giurisprudenza ha ipotizzato il necessario superamento di una duplice condizione:

  1. che oggetto della messa a disposizione sia l’intero complesso di elementi e requisiti che hanno consentito all’impresa ausiliaria di ottenere il rilascio dell’attestazione SOA;
  2. che il contratto di avvalimento dia conto, in modo puntuale, dei requisiti messi a disposizione dell’impresa ausiliata, senza impiegare formule generiche o di mero stile.

Pertanto, ai fini della qualificazione e dell’esecuzione dell’appalto, non è sufficiente che l’ausiliaria si impegni semplicemente a prestare l’attestato SOA, quale mero requisito astratto e valore cartolare, ma deve mettere a disposizione dell’ausiliatal’intera organizzazione aziendale - comprensiva di tutti i fattori della produzione, tutte le risorse e il proprio apparato organizzativo – che le ha consentito di acquisire l’attestazione e la certificazione di qualità (cfr. Cons. St., sez. V, 16 maggio 2017, n. 2316; id. 12 maggio 2017, n. 2226).

Tali condizioni avvicinano l’istituto dell’avvalimento ai c.d. contratti d’impresa, già noti nelle negoziazioni private, in cui si fa ricorso ad istituti e meccanismi di collaborazione propri di quell’ordinamento, come il noleggio, l’affitto, il consorzio, il gruppo societario, il subappalto, la cessione di ramo d’azienda (cfr. Adunanza Plenaria n. 13 del 2020).

Sicché, l’avvalimento “non consente di creare un concorrente virtuale costituito solo da una segreteria di coordinamento delle attività altrui, né di partecipare alla competizione ad un operatore con vocazione statutaria ed aziendale completamente estranea rispetto alla tipologia di appalto da aggiudicare” (cfr. Cons. Stato, sez. V, del 20 novembre 2013, n. 1772; id., sez. III,. n. 3702 del 10 giugno 2020).

Solo su tale base è possibile evitare il cd. fenomeno del c.d. “avvalificio” (in cui operino imprese che si limitino ad utilizzare la capacità economica di altre imprese), indirizzare l’applicazione pratica dell’istituto (che può presentarsi sotto forma di avvalimento frazionato, plurimo, incrociato e ‘sovrabbondante’) e sanzionare le forme di avvalimento vietate (vedi  quello cd. ‘a cascata’, da ultimo approfondito dalla stessa Adunanza Plenaria con sent. n. 13 del 2020 in riferimento al progettista indicato “non rientrante nella figura del concorrente né tanto meno in quella di operatore economico”).

3.      Obbligo di SOA per l’ausiliata

Una volta adempiute le suddette condizioni, osserva l’Adunanza Plenaria, obbligare l’ausiliata - a pena di esclusione – a produrre la propria attestazione SOA si traduce in un vero e proprio divieto di applicare l’istituto dell’avvalimento (in contrasto con gli artt. 84 e 89 del Codice), perché impone un adempimento solo apparentemente formale che, in modo surrettizio ne comprime l’operatività senza alcuna idonea copertura normativa (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 23 agosto 2019, n. 5834).

Neppure si può ritenere che la clausola in questione sia legittima sulla base del Codice laddove prevede che «le stazioni appaltanti indicano le condizioni di partecipazione richieste, che possono essere espresse come livelli minimi di capacità» (art. 83, comma 8, primo periodo, del Codice).

Infatti, per il principio di tassatività delle cause di esclusione (art. 83, comma 8 del Codice), la discrezionalità, che consente di richiedere requisiti coerenti e proporzionati all’appalto, è ben diversa dalla facoltà, non ammessa dalla legge, di imporre adempimenti che in modo generalizzato ostacolino la partecipazione alla gara (cfr. Cons. St., sez. V, 26 maggio 2015, n. 2627).

4.      Nullità della clausola

Come evidenzia la sentenza in commento, secondo la più risalente giurisprudenza amministrativa (Adunanza Plenaria, sentenza n. 1 del 2003), l’impresa potenzialmente lesa da una clausola escludente aveva l’onere di proporre subito un ricorso giurisdizionale, sicché si doveva considerare tardiva la sua impugnazione unitamente all’esclusione, se proposta dopo la scadenza del termine di impugnazione del bando.

Tale giurisprudenza, ricorda l’Adunanza Plenaria, è stata superata dal d.l. n. 70 del 2011 che, modificando l’art. 46 del d.lgs. 163/2006, ha introdotto il principio della ‘tassatività delle cause di esclusione’ ribadito nell’art. 83, comma 8, del vigente Codice, in cui è stabilito che ‘sono comunque nulle’ le clausole escludenti in contrasto con tale principio.

Sul significato di tale nullità, l’Adunanza Plenaria conferma quanto già sancito con la sentenza n. 9 del 2014 ossia che “la sanzione della nullità… è riferita letteralmente alle singole clausole della legge di gara esorbitanti dai casi tipici; si dovrà fare applicazione, pertanto, dei princìpi in tema di nullità parziale e segnatamente dell’art. 1419, comma 2, c.c.” (la cd. condizione del vitiatur sed non vitiat).

La nullità, pur non estendendosi al provvedimento nel suo complesso, rende illegittimi e quindi annullabili secondo le regole ordinarie gli atti ulteriori posti in essere dall’amministrazione (esclusione o aggiudicazione) che si fondino sulla clausola escludente nulla.

Gli atti successivi del procedimento, conservando il loro carattere autoritativo, sono soggetti al termine di impugnazione previsto dall’art. 120 del codice del processo amministrativo, entro il quale il concorrente può chiedere l’annullamento dell’atto di esclusione (e degli atti successivi) emesso dalla Stazione appaltante, per aver fatto illegittima applicazione della suddetta clausola.

Ne consegue che non sussiste alcun onere a carico delle concorrenti di impugnare (entro l’ordinario termine di decadenza) la clausola escludente nulla e quindi “inefficace” ex lege. Il concorrente è tuttavia soggetto ad uno specifico onere di impugnare nei termini ordinari gli atti successivi che facciano applicazione (anche) della clausola nulla contenuta nell’atto precedente.

5.      Princìpi di diritto

Per le ragioni che precedono, l’Adunanza Plenaria ha enunciato i seguenti princìpi di diritto:

  1. la clausola del disciplinare di gara, che subordini l’avvalimento della qualificazione SOA alla produzione in gara dell’attestazione dell’ausiliata, si pone in contrasto con la disciplina della qualificazione SOA e dell’avvalimento (rispettivamente artt. 84 e 89, comma 1, del Codice) ed è pertanto nulla in ragione del principio di tassatività delle cause di esclusione (art. 83, comma 8, ult. periodo, del Codice);
  2. la lett. a) configura un’ipotesi di nullità parziale, ossia limitata alla clausola del disciplinare di gara (quindi da considerare come non apposta). Tale nullità non si estende all’intero provvedimento, che conserva la propria natura autoritativa;
  3. provvedimenti successivi adottati dall’amministrazione, che facciano applicazione o comunque si fondino sulla clausola nulla (ad es. l’esclusione dalla gara o l’aggiudicazione), vanno impugnati nell’ordinario termine di decadenza, anche per far valere l’illegittimità derivante dall’applicazione della clausola nulla.

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Link esterni

Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 16 ottobre 2020, n. 22

Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 9 luglio 2020, n. 13

Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 4 novembre 2016, n. 23

Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 25 febbraio 2014,  n. 9

Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 29 gennaio 2003,  n.1

Consiglio di Stato, sez. III, 10 giugno 2020 n. 3702

Consiglio di Stato, sez. V, 17 marzo 2020, n. 1920

Consiglio di Stato, Sez. V, 23 agosto 2019, n. 5834

Consiglio di Stato, sez. V, 16 maggio 2017, n. 2316

Consiglio di Stato, sez. V, 12 maggio 2017, n. 2226

Consiglio di Stato, sez. V, 30 novembre 2015, n. 5396

Consiglio di Stato, sez. V, 26 maggio 2015, n. 2627

Consiglio di Stato, sez. V, 20 novembre 2013, n. 1772

Procedure sopra-soglia DL semplificazioni: i chiarimenti ANAC sulle deroghe nei settori “strategici”

Con delibera del 26 ottobre 2020, ANAC ha dato risposta alle richieste di chiarimento  poste  da una stazione appaltante circa l’effettiva portata dell’articolo 2, comma 4 del Decreto Semplificazioni[1], che, come noto disciplina, fino al 31 dicembre 2021, gli affidamenti sopra la soglia comunitaria.

 

Al riguardo, si ricorda che tale norma, individuati una serie di settori “strategici” per l'economia (dall'edilizia scolastica, sanitaria, passando per il settore delle infrastrutture per ricerca, sicurezza pubblica eccetera), prevede che le stazioni appaltanti, per l'affidamento delle attività di esecuzione di lavori, servizi e forniture nonché dei servizi di ingegneria e architettura, inclusa l'attività di progettazione, e per l'esecuzione dei relativi contratti, operano in deroga ad ogni disposizione di legge diversa da quella penale, fatto salve:

  • le disposizioni del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n.159;
  • i vincoli inderogabili derivanti dall'appartenenza all'Unione europea, ivi inclusi quelli derivanti dalle direttive 2014/24/Ue e 2014/25/Ue;
  • i principi di cui agli articoli 30 (principi generali), 34 (CAM) e 42 (conflitti di interesse) del decreto legislativo 18 aprile 2016 n. 50;
  • le disposizioni in materia di subappalto.

Tale disposizione, secondo l’amministrazione richiedente, pone non pochi problemi interpretativi, con particolare riferimento all'individuazione delle disposizioni che non costituirebbero espressione di vincoli inderogabili derivanti dall'appartenenza all'Unione europea e che, quindi, sarebbero oggetto di disapplicazione a opera delle stazioni appaltanti.

 

In tal caso, infatti, il timore della stazione appaltanti è di trovarsi di fronte a «vuoti normativi…in conseguenza della disapplicazione delle norme che non trovano diretto riscontro nella normativa dell'Unione europea».

 

Pertanto, viene richiesto se suddetta deroga debba ritenersi (o meno) obbligatoria per la stazione appaltante, con conseguente richiesta su quali disposizioni, oggettivamente, potrebbero essere disapplicate.

 

Infine, laddove si ritenesse obbligatoria, in tutto o in parte, la disapplicazione della normativa interna che non trovi riscontro in quella dell’Unione europea, si chiede se saranno aggiornati, e con quali tempi, gli schemi di disciplinare di gara, predisposti da ANAC per le diverse tipologie di affidamento.

 

La risposta dell’ANAC

Con riferimento alla prima questione, ANAC ha dato risposta negativa, precisando quanto segue.

In primo luogo, occorre fare riferimento al rinvio operato dalla norma alle “altre” disposizioni dello stesso art. 2.   Ciò, infatti, consente di ritenere che, per gli interventi previsti nei settori c.d. “strategici”, le stazioni appaltanti possono ricorrere, ai fini dell’affidamento, sia alle procedure ordinarie di cui al comma 2 dell’articolo 4, sia alla procedura negoziata senza bando di cui al comma 3, nei casi di estrema urgenza ivi indicati, sia, infine, al regime di deroga contemplato nel citato comma 4.

Quanto all’effettiva portata di tale regime derogatorio, ANAC evidenzia in primo luogo che il campo di applicazione della deroga contenuta nel comma 4 dell’art. 2, riguarda tutti gli appalti relativi alle opere pubbliche ivi elencate laddove si ricada nei casi di cui al comma 3, ossia ragioni di estrema urgenza derivanti dall’emergenza sanitaria in corso.

Si osserva altresì che le stazioni appaltanti non sono obbligate a procedere unicamente mediante la procedura negoziata di cui al precedente comma 3.

Infatti, lo stesso comma 4 impone, in ogni caso, il rispetto degli obblighi derivanti dalle direttive comunitarie in materia di appalti (dir. 2014/24/UE e 2014/25/UE), con la conseguenza le stazioni appaltanti che opereranno nei c.d. “settori strategici” saranno tenute ad applicarle già a partire dalla scelta della procedura. 

Ed è proprio l’art. 26 della direttiva 24/2014/Ue – in materia di scelta della procedura – a contenere un rinvio alla normativa nazionale, disponendo che “nell’aggiudicazione di appalti pubblici, le amministrazioni aggiudicatrici applicano le procedure nazionali adattate in modo da essere conformi alla presente direttiva”.

Tale rimando, secondo ANAC, determina una reviviscenza delle disposizioni della legge nazionale, con la conseguenza che, in assenza di concreti motivi, le stazioni appaltanti non potranno ricorrere unicamente alla procedura negoziata senza bando.

Pertanto, quello che si ricava alla luce di una interpretazione sistematica delle disposizioni del comma 4 è che, per quanto attiene alla fase della scelta della procedura, non si verte, in effetti, in un regime di deroga.

Diversamente, per quanto riguarda la fase esecutiva sembra permanere l’ampia deregolamentazione della normativa nazionale, fatte salve le previste eccezioni in materia di normativa comunitaria, antimafia, subappalto, principi generali e norme in materia di sostenibilità ambientale e di conflitto di interessi.

In conclusione, le disposizioni dell’art. 2, comma 4 del decreto “Semplificazioni”, devono, secondo ANAC, essere lette in combinato disposto con le previsioni dei commi 2 e 3 della stessa norma, consentendo quindi alle stazioni appaltanti, per l’affidamento degli appalti nei settori ivi indicati, di procedere alternativamente:

  1. ai sensi del comma 2, mediante le procedure ordinarie ivi indicate;
  2. ai sensi del comma 3, con procedura negoziata ex art. 63 del Codice, nella misura strettamente necessaria, per ragioni di estrema urgenza derivanti dagli effetti negativi dell’emergenza sanitaria in corso;
  3. ai sensi del comma 4, per ragioni di urgenza ex comma 3 e nei settori ivi indicati, in regime deroga.

L'ANAC ha poi evidenziato la difficoltà di individuare la corretta disciplina applicabile in caso di ricorso alle deroghe. Ciò in quanto alcuni vincoli introdotti nel codice non sono rinvenibili nelle direttive comunitarie, con il conseguente rischio di un pericoloso vuoto di disciplina.

A titolo di esempio, vengono citate le cause di esclusione previste dall'articolo 80 del Codice, il sistema di qualificazione degli operatori economici per i lavori di importi superiori a 150mila euro, oppure, ancora, la materia della risoluzione del contratto di cui all’art. 108 del Codice, che, diversamente da quanto previsto dalla dall’art. 73 della Direttiva Sugli appalti Pubblici (2014/24/UE) – che ha fornito indicazioni generali allo Stato Membro- ha puntualmente articolato le ipotesi di risoluzione cui le stazioni appaltanti devono attenersi.

A tali difficoltà, secondo l’ANAC, potrebbe ovviarsi con una attenta redazione dei documenti di gara che “consenta di includere espressamene nella lex specialis il contenuto di tutte quelle disposizioni derogate che dovessero, invece, ritenersi necessarie alla migliore speditezza del procedimento di aggiudicazione e della esecuzione del contratto”.

Trattasi, ad ogni evidenza, di attività “istruttorie” aggiuntive che dovrebbe svolgere il RUP, con conseguente lievitazione degli oneri per le stazioni appaltanti sin dalla fase della redazione della documentazione di gara. Ciò in contrasto con le esigenze di velocizzazione e snellimento procedurale che è alla base dell’intervento del legislatore. Proprio per questo, ANAC aveva chiesto l'eliminazione di questa norma con il documento del 3 agosto, di commento al Dl 76/2020.

ANAC ha altresì suggerito che, in ogni caso, le stazioni appaltanti, pur avvalendosi della deroga, non dovrebbero omettere l'applicazione della disciplina delle seguenti materie:

  • cause di esclusione previste dall'articolo 80 del Codice (quali il divieto di contrarre con la pubblica amministrazione, le annotazioni nel casellario, la violazione del divieto di intestazione fiduciaria, violazione delle norme sul lavoro dei disabili o in materia di salute e sicurezza sul lavoro, condanna per i reati di cui al comma 5, lettera l), le situazioni di controllo tra partecipanti alla medesima gara, c.d. pantouflage);
  • il sistema di qualificazione degli operatori economici per i lavori di importi superiori a 150mila euro;
  • la risoluzione del contratto.

In ogni caso, nella legge di gara, il RUP dovrà richiamare esplicitamente le norme codicistiche che intende applicare al procedimento.

Infine, ANAC sottolinea che quanto espresso non costituisce interpretazione autentica della norma servendo unicamente ad indirizzare l’operato delle stazioni appaltanti.

Quanto infine, alla richiesta di disciplinari di gara tipo,  ANAC sottolinea che  la mancata adozione ad oggi sia del regolamento unico di cui all’art. 216, comma 27 octies, del d.lgs. 50/2016  sia del decreto interministeriale di cui all’art. 44 del d.lgs. 50/20016 (in materia di digitalizzazione) e la mutevole disciplina primaria rendono  particolarmente ardua la predisposizione del nuovo bando tipo e/o la revisione di quelli già esistenti in quanto impone  un monitoraggio ed esame continuo dei sopravvenuti provvedimenti normativi e non consente che si formino quelle  best practices che un bando tipo deve recepire e “presentare” al mercato.


[1] del Decreto 16 luglio 2020, n. 76, recante “Misure urgenti per la semplificazione e l'innovazione digitale” (entrato in vigore 17 luglio u.s.) convertito con modificazioni dalla Legge 11 settembre 2020, n. 120, (Pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, Serie Generale n.228 del 14- 09-2020 - Suppl. Ordinario n. 33, la legge è entrata in vigore il 15 settembre u.s.)

1 allegato

ANAC_26_10_2020

MEPA: pubblicato il manuale d’uso per l’abilitazione di consorzi, reti d’imprese e GEIE

Consip ha pubblicato sul sito internet www.acquistinretepa.it il manuale d’uso completo che descrive la procedura di abilitazione a tutti i Bandi del Mercato Elettronico della P.A. – Bando Beni, Bando Servizi, Bandi Lavori di Manutenzione – dei seguenti operatori economici:

– consorzio fra società cooperative di produzione e lavoro/Consorzio fra imprese artigiane (D. Lgs. n. 50/2016, art.45, comma 2, lett. b);

– consorzio stabile (D. Lgs. n. 50/2016, art.45, comma 2, lett.c);

– rete di impresa (D.Lgs. 50/2016, art. 45, comma 2, lett. f);

– GEIE (D. Lgs. 50/2016, art. 45, comma 2, lett. g).

La guida può costituire uno strumento di ausilio per gli operatori economici interessati a partecipare alle procedure negoziate e/o alle trattative private lanciate sul mercato elettronico della Pubblica Amministrazione (MEPA).

Si ricorda, che, con riferimento ai LAVORI DI MANUTENZIONE, sul MEPA sono attualmente attivi 7 bandi:

1.     Lavori di manutenzione - Edili

2.     Lavori di manutenzione - Impianti

3.     Lavori di manutenzione - Idraulici, Marittimi e Reti Gas

4.     Lavori di manutenzione - Stradali, ferroviari ed aerei

5.     Lavori di manutenzione - Beni del Patrimonio Culturale

6.     Lavori di manutenzione - Ambiente e Territorio

7.     Lavori di manutenzione - Opere Specializzate

In allegato, la  Guida all’abilitazione ai Bandi del MePA – Consorzi, Reti di Imprese, GEIE

1 allegato

Guida abilitazione Bandi MePA

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